Ettore dagli occhi azzurri

Venerdì 15 novembre 1946, poco prima delle 14, Ettore Grande circondato dai familiari e dai difensori si affacciò libero alla soglia della Corte di Assise di Novara. Ci fu incertezza se farlo scendere subito nel cortile; il pubblico assiepato sullo scalone dell’atrio minacciava di travolgerlo. Il furgone grigio dei detenuti non era tornato dal carcere. Il brigadiere che accompagnava Grande riflettè un momento, poi, comprendendo comprendendo che anche un breve indugio sarebbe parso eterno a chi aveva scontato otto anni di carcere, prese una decisione. Così la mancanza del furgone, la decisione del brigadiere e il gridare “ a piedi, a piedi” della folla, dettero luogo a una breve passeggiata. Preso in mezzo al suo pubblico, accompagnato dagli applausi e dagli abbracci, Grande attraversò la piazza per raggiungere il carcere. Dinnanzi al portone posò per i fotografi; agitò le mani, salutò, ringraziò. Grande rientrato in carcere per l’ultima volta, non doveva che sottoporsi a una formalità. Passò dalla matricola, dove il personale lo accolse con saluti e felicitazioni. Lo chiamarono dottore. Infine salì a prendere il suo bagaglio e a salutare i compagni.

Ettore Grande era stato trasferito nelle carceri di Novara due mesi prima e destinato in una grande cella con cinque o sei altri detenuti quasi tutti politici. Tra i suoi compagni c’era un laureato di origine svizzera, accusato di collaborazionismo. Costui, uscito qualche tempo prima, a processo iniziato, non mancò di parlare del suo eccezionale coabitante in un certo caffè di Novara. Il laureato svizzero conversava spesso con Grande in italiano, francese, inglese e tedesco.  I clienti del caffè richiesero altri particolari. Grande — nelle lunghe ore di ozio, prima del processo — leggeva i Vangeli, l’Imitazione di Cristo e i Promessi sposi. E poi?, gli chiesero. Raccontava molto del processo, del suo caso. In cella si trovavano giovani che qualche volta si distraevano con trovate sguaiate. Grande non partecipava mai, era molto riservato, si limitava a osservare. E cosa diceva? Ai suoi compagni diceva le stesse cose che ripetè in aula; agitando un unico argomento fondamentale, ripeteva di essere innocente.

Grande diventerà forse, se riuscirà a liberarsi completamente dell’ultimo sospetto insinuato nella sentenza di Novara, l’innocente dei nostri tempi. La storia di Ettore Grande si sovrapporrà nella realtà vicina alle storie degli innocenti romantici. Diventerà un Fornaretto vivo. Il suo volto fanciullesco, i suoi occhi azzurri, i suoi improvvisi rossori, la estrema educazione, la raffinata compitezza gli conferiscono un a’aria disarmata di adolescente. Molte signore lo hanno idolatrato per questo; molte popolane lo hanno visto, esattamente, sotto l’aspetto di un Fornaretto: di un debole, indifeso giovane vittima di una congiura di potenti. Quando il il suo difensore  avvocato Delitalia proclamò che “l’orgoglio dei Virando” aveva sacrificato quest’uomo (l’altro suo difensore lo chiamò una volta fanciullo: un fanciullo di 43 anni), le sue ammiratrici  ebbero la gioia di sentire definito obbiettivamente l’oscuro istinto che le aveva guidate nella loro scelta, quando preferirono Ettore alla madre e al fratello di Vincenzina. Appassionandosi maternalmente alla parte, alcune signore arrivarono a commentare con sommessi brusii di disapprovazione e di incredulità le rievocazioni delle virtù della morta.

Quando Grande rientrò in carcere da uomo libero, la voce della sua assoluzione era già corsa di cella in cella. I compagni aspettavano che egli andasse a salutarli, probabilmente gli avranno anche affidato incarichi o missioni; nessuno avrebbe comunque impedito che Grande compisse questo gesto di solidarietà. Ce lo disse: «Prima di tutto voglio salutare quei disgraziati». Pronunziò anche una frase abbastanza comune, ma detta da lui non era priva di efficacia: «Se tutti gli uomini passassero attraverso l’esperienza del carcere, penso che ne uscirebbero migliorati».
corrispondenza di Gianni Calvi (La Follia di Novara, L’Europeo, 24 novembre 1946)

Per sapere di più sul caso di Grande-Virando 1938-1951 questa pagina nel sito di Donatella Cane.