Ma guarda un po’… aspettavo il momento giusto per iniziare la serie “carte segrete” ed ecco fatto: c’era una volta, cinquanta anni fa, il “boom”. Non temete, non si tratta, come qualcuno potrebbe pensare, del ricordo di qualche fatto di cronaca, il simbolo del “boom” degli anni sessanta, meglio conosciuto come: “il miracolo economico italiano”, è la pacifica e familiare Fiat 600 (se siete frettolosi potete informarvi di più in questa voce di Wikipedia).
Le conseguenze di questo fenomeno nella vita sociale italiana non potevano sfuggire al cinema, qualcuno oggi ha ricordato Il sorpasso, diretto da Dino Risi nel 1962. Io invece voglio parlarvi dei capricci della censura attraverso il tempo, prendendo come esempio le vicende di un film diretto da Vittorio De Sica, interprete principale Alberto Sordi, soggetto-sceneggiatura di Cesare Zavattini, uscito nelle sale nel 1963: Il Boom.
Come sicuramente sapete, dopo il 1913 tutte le pellicole grandi e piccine, prima di essere proiettate in pubblico devono ottenere il “nulla osta”, meglio conosciuto come visto di censura. Il Boom fu presentato in censura per conto della Dino De Laurentiis Cinematografica S.p.A., produttrice del film, il 30 agosto 1963. La descrizione del soggetto per il visto era questa:
Il dramma finanziario di Giovanni e Silvia, una modesta coppia di sposi, trascinati nel turbine dei bisogni, anche fittizzi, creati e ingigantiti dal “miracolo economico” italiano. Ed alla fine, per risolvere tutti i problemi e per non correre il rischio di perdere anche la moglie, Giovanni è costretto a vendersi un occhio.
La risposta dell’ufficio di revisione cinematografica fu: “condizioni per il nulla osta: vietato ai minori di 14 anni”. Meno di un mese dopo, la casa di produzione chiese una revisione. Questa volta il divieto ai minori di 14 anni venne revocato, alle seguenti condizioni:
Della lista di dialoghi, pp. 50, 51, e 81: Tagliate le parole “a letto” già comprese nella battuta di Giovanni (Sordi); tagliate le parole “Io vado con la moglie di Baratti e tu col marito. Sai che bel casino!” già comprese nella battuta di Giovanni; tagliata la battuta di Giovanni: “Che stronzo che è papà!”
Eseguiti i tagli, il film fu messo in circolazione e diventò accessibile per qualsiasi spettatore italiano del 1963, senza limiti di età. Nel 1972 il film venne proposto al Servizio Programmazioni Film della Rai. Dopo la visione in moviola, le “considerazioni” degli esperti furono queste:
Esempio tra i meno brillanti di quel genere di “commedia all’italiana in auge negli Anni Sessanta. A parte l’ideuzza di base (un poveraccio che pretende di fare la gran vita, pur essendo indebitato fino al collo, e accetta di vendere un occhio) stiracchiata sopratutto nella seconda parte, vi sono nel film – in particolare nel dialogo – elementi tali da invitare ad una attenta considerazione. Innanzi tutto due riferimenti all’inversione sessuale (“frocetti” e susseguente, breve, carrellata su alcuni rappresentanti la categoria, e poi “froci”), ma, sopratutto i frequenti accenni ad una polemica anti-religiosa che quando non trova una giustificazione di carattere sociologico o di costume (la speculazione edilizia sotto l’usbergo dei soliti frati a cui viene data la possibilità di farsi il convento), scade addirittura in un anticlericalismo di grana grossa (la preghiera “…col sangue di Gesù e col latte di Maria spero di salvare l’anima mia.” – la processione a piedi scalzi del protagonista e la moglie – l’invettiva finale, tra il serio e il buffonesco “Dio non esiste!” rivolta ad un signore della casa di fronte definito “terziario francescano”).
Come al solito, lascio a voi i commenti…