Da Yojimbo al magnifico straniero per un pugno di dollari

Alcune cose mai raccontate sul leggendario Per un pugno di dollari, mitico western diretto da Sergio Leone, alias Bob Robertson.

So bene cosa stai pensando caro lettore: credi davvero che sia possibile raccontare qualcosa di nuovo su questo film? La risposta è semplice: leggi i post e dopo, se vuoi, parliamone.

Dissolvenza di apertura

Come tutti sanno Sergio Leone era un “figlio dell’arte cinematografica”. Figlio di Vincenzo Leone, alias Roberto Roberti, interprete e regista del cinema muto, tre film come regista nel cinema sonoro; e dell’attrice Edvige Valcarenghi, in arte Bice Waleran, che si ritirò dal cinema verso il 1918. Vincenzo e Edvige si erano conosciuti sul set e si sposarono nel 1914. Sergio, l’unico figlio della coppia nacque a Roma il 3 gennaio 1929.

Nel 1950, Vincenzo Leone disse addio per sempre a Roma e al cinema, ritornando a vivere nel paese natale Torella dei Lombardi (Avellino). Sergio invece rimase a Roma, deciso a perpetuare la tradizione familiare, anche contro il parere di suo padre, così ha dichiarato lui più di una volta. Aveva debuttato come assistente volontario e comparsa (senza compenso) sul set di Ladri di biciclette diretto da Vittorio De Sica, e fece una lunga gavetta prima di arrivare al prestigioso incarico di “aiuto regista”. Fedele alla tradizione di famiglia, si faceva chiamare Sergio Leone Roberti:

leone roberti sergio
Leone Roberti Sergio (pubblicato nella categoria aiuto registi di cineguida edizioni dal 1952 al 1961)

Cosa pensava Vincenzo Leone di questo “omaggio” non sono riuscita a saperlo, nessuna delle biografie, interviste, articoli dedicati a Sergio Leone fa il minimo accenno. Papà Leone scomparve a Torella dei Lombardi nel 1959, quattro anni dopo il figlio di Roberto Roberti, alias Bob Robertson riusciva ad entrare (e rimanerci) con tutti gli onori nella storia del cinema mondiale.

L’avventurosa storia di un pugno di dollari e 3.182.833.000 lire d’incassi del 1964

Fra le molte dichiarazioni di Sergio Leone a proposito della scelta di un western per il suo debutto nella regia di un western ho scelto questa:

«Feci il mio primo western invogliato da una sola cosa: Papi e Colombo della Jolly Film mi condussero a vedere un film fatto in Spagna, che secondo loro era addirittura una pietra miliare, il più bello di tutti quelli che erano stati fatti. I primi a fare western europei furono i tedeschi. In seguito al successo di vendita di questi film a circuiti di quarto ordine o ai mercatini orientali o pseudotali la mania si era contagiata alle produzioni italiane e il signor Grimaldi ne aveva prodotti almeno una dozzina. Ma erano prodotti scadentissimi, tanto è vero che appena io finii Per un pugno i dollari il signor Amati disse: “Due giorni al Galleria” che era l’ultimo cinema di Roma (più tardi non gli ho mai più dato un film per il suo circuito). Insomma, quando si rivolsero a me per un western, faticai parecchio a trovare venti milioni di coproduzione in Spagna e trenta in Germania.

La cosa che mi spinse ad accettare di girare un western fu che, dopo la visione di questo film famoso che veniva considerato il migliore, Papi e Colombo mi chiesero: “Lei, Leone, saprebbe fare una pellicola così? E io risposi: “ Un film così io lo faccio al telefono, chiamando da casa il mio operatore e dicendogli: metti la macchina nell’angoletto. Sicuramente viene meglio di questo.”

Il film ebbe una querela per plagio di un film giapponese. Il buffo è che la cosa l’avevo rivelata io a Papi e Colombo, produttori del film: incontrandoli, io avevo detto loro che c’era un film giapponese che mi affascinava, un film preso da un libro americano che Kurosawa aveva ambientato mirabilmente tra i suoi samurai.»
Sergio Leone 
(L’avventurosa storia del cinema italiano – raccontata dai suoi protagonisti 1960-1969, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli 1981)

Scena 1. Venezia. Interno, notte. C’era una volta Sanjuro

«Domenica 20 agosto 1961. La XXII Mostra si inaugura alla presenza del ministro Folchi in un’atmosfera di cordiale e fiduciosa aspettativa, con un film giapponese diretto e interpretato rispettivamente dagli ormai tradizionali Akira Kurosawa a Toshìro Mifune: Yojimbo, tradotto per noi in «La guardia del corpo». Domenico Meccoli, nuovo direttore della rassegna pellicolare, e Italo Siciliano, nuovo presidente della Biennale, che al mattino avevano intrattenuto i giornalisti accreditati nel parco dell’Albergo Quattro Fontane, fanno gli onori di casa. Sono presenti Salvador Dalì, armato di pistola, le biondissime sorelle Kessler, Susan Strasberg, Laurent Terzieff, pallidissimo per la recente malattia, Rosanna Schiaffino con la inseparabile madre Yasmine, oltre, naturalmente, a Kurosawa e a Mifune. Quest’ultimo inguainato nel costume di « samurai » (prestato per l’occasione dal guardaroba del Teatro La Fenice) come il suo eroe in  Yojimbo.

E’ costui uno stanco mestierante della spada: un samurai disoccupato di nome Sanjuro, che un giorno giunge in un villaggio dilaniato dai contrasti di due fazioni. Egli non ha ideali precisi. Soltanto il desiderio di divertirsi alle spalle di cotanto idioti che si scannano in una continua ed inutile lotta. Sanjuro offre i suoi servigi, come « guardia del corpo », ad entrambi i Feudatari del luogo, giocandoli poi per puro sentimentalismo, poiché egli aiuta una famiglia tiranneggiata a ricomporsi e a fuggire. Gli costerà però molto caro. Verrà pestato a sangue e torturato. Soltanto per un caso egli riuscirà a fuggire e a tornare poi per fare vendetta. Nel villaggio nipponico non resteranno che le misere casupole sventagliate dalla bruma ventosa e qualche abitante.

Kurosawa, che ha scritto e sceneggiato, oltre che diretto, Yojimbo, ha evidentemente preso come modello certo cinema « western » americano, quello dove lo stanco cow boy giunge per riposare le membra provate in mille galoppate in una cittadina apparentemente tranquilla e vi trova scontri di pistoleros all’ultimo sangue tanto da restarne, suo malgrado, coinvolto fino al collo. Con qualche punta dì sadismo che può ricordare certi film di Buñuel. Pellicola minore, dunque, rispetto le precedenti della celebre coppia, applaudita però con calore dall’elegantissimo pubblico presente.

La serata si conclude con il ricevimento all’Excelsior offerto dal presidente della Biennale e dalla Delegazione Giapponese a Venezia.

Domenica 3 settembre 1961. La Giuria assegna a maggioranza la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Toshiro Mifune, per la pittoresca maestria con cui ha impersonato la figura del soldato di ventura nel film Yojimbo (La guardia del corpo) di Akira Kurosawa.»

Lasciamo Toshiro Mifune con il suo premio e la storia segue nel prossimo post… alla prossima!