Roma ore 11 di Elio Petri

Roma ore 11
copertina del volume Roma ore 11, Collana Omnibus 1956

Signorina giovane intelligente volenterosissima attiva conoscenza dattilografia miti pretese per primo impiego cercasi. Presentarsi in via Savoia 31, interno 5, lunedì ore 10-11 e 16-17

Questo trafiletto apparve nella pagina degli annunci economici de Il Messaggero, domenica 14 gennaio 1951. Lo stesso giornale, 48 ore dopo, pubblicava in prima pagina:

Una terribile disgrazia è accaduta ieri mattina nell’interno di un villino di via Savoia, dove settantasette giovani donne sono rimaste ferite in modo più o meno grave ed una è deceduta per l’improvviso crollo dell’intera scala dello stabile. La presenza di tante persone in quel luogo e a quell’ora era dovuto ad un annuncio comparso domenica mattina sui giornali cittadini.

«Si vede che lettrici dell’avviso», scriveva Il Giornale d’Italia nella stessa data, «che han creduto di avere tutti i bei requisiti richiesti uniti alle ‘miti pretese’ sono state non poche e tutte volenterose ad accaparrarsi l’unico posto allettante nonostante lo stipendio si annunziava miserello anzichenò, perché all’ora stabilita e qualche minuto prima, anzi, si è veduta una processione di belle ragazze avviarsi in via Savoia all’appuntamento. L’incontro di tante concorrenti non è stato piacevole tra loro, ma ciascuna covava in cuore la speranzella di essere la preferita».

«Verso le dieci la massa era ancora aumentata», continuava l’Unità. «A questo punto la portiera dello stabile ha cominciato a preoccuparsi ed è intervenuta per sconsigliare le ragazze dall’ammassarsi tutte sulle scale, avvertendole del pericolo di un crollo. Ma, naturalmente, nessuna ha voluto ritirarsi per prima, perché troppo grande era il bisogno di trovare lavoro. Visto che i suoi consigli non approdavano a nulla, la portinaia ha telefonato al commissario di P. S. chiedendo l’intervento degli agenti per stabilire un servizio d’ordine».

«Al Commissariato dovevano essere però occupatissimi», faceva notare l’Avanti, «a diffidare illegalmente i commercianti della zona da chiudere allorché giungerà il Mac Arthur d’Europa a Roma, perché nessun agente di P.S. intervenne tempestivamente: i primi giunsero soltanto allorché il crollo si era già verificato».

Il Messaggero così descrisse quello che accadde in seguito: «Alle dieci, facendosi largo tra la folla delle aspiranti all’impiego giungeva in via Savoia l’inserzionista: il cancello veniva aperto e le giovani facevano una pacifica irruzione nel villino, formando una lunga coda sul pianerottolo e lungo le scale. L’uomo dell’annuncio saliva nel suo ufficio, posto al secondo piano, allorché si udiva un fragore assordante misto a disperate grida di dolore e di aiuto. Due rampe di scale, forse per il peso di coloro che vi sostavano, forse per la difettosa struttura, erano crollate all’improvviso con schianto travolgendo nel groviglio delle ringhiere, del calcinacci e dei marmi, un’ottantina di giovani donne».

«Un gruppo di ragazze, circa una settantina, giacevano sul pianerottolo di fondo», raccontava Il Paese, «alcune lamentandosi, altre prive di sensi, mentre il sangue scorreva abbondante impressionando fino all’isterismo quelle che erano rimaste incolumi, sia appese e isolate sull’ultimo pianerottolo, sia nel giardinetto. Si facevano strada nella calca indescrivibile le mamme, i familiari, cercando affannosamente le loro care e invocandone i nomi con voci straziate».

«Mentre i pompieri procedevano allo sgombero delle macerie», scriveva Il Messaggero, «le donne ferite venivano caricate a bordo delle autoambulanze e trasportate nei vari ospedali cittadini. A quest’opera di soccorso partecipavano molti automobilisti di passaggio, che prendevano a bordo dei loro mezzi le donne ferite in modo meno grave accompagnandole al Policlinico. A complemento di quest’opera di soccorso si provvedeva a mettere in salvo un gruppo di giovani dattilografe rimaste bloccate sul pianerottolo dinanzi all’ufficio. Servendosi delle scale romane i pompieri le facevano scendere ad una ad una attraverso una finestra dell’ufficio. Frattanto una gran folla si era andata radunando davanti al cancello del villino, dove funzionari ed agenti di P.S. avevano predisposto un servizio d’ordine pubblico».

Li’Avanti! commentava: «Una giovane morta e settantotto ferite sono il tragico bilancio della sciagura che ha destato una enorme impressione in tutta la città: in particolare hanno commosso la pubblica opinione le circostanze in cui la disgrazia si è verificata, che denunciano le angosciose condizioni di miseria della cittadinanza, tali da far accorrere una tale folla di candidate quando il posto offerto era uno solo e neanche particolarmente allettante (si cercavi una dattilografa giovane, di miti pretese, al primo impiego) ».

E l’Unità sottolineava: «Lo sciagura di ieri mattina si lega alle difficoltà economiche sempre più gravi, alla disoccupazione, alla miseria in cui si dibattono strati vastissimi di popolazione, non solo operaia, ma anche impiegatizia e piccolo-borghese ».

Il Giornale d’Italia del 17 gennaio pubblicava un articolo sotto il titolo Tre inchieste in corso per il pauroso sinistro di ieri, in cui, tra l’altro, era scritto: «La signorina Alena Maria Baraldi si è spenta ieri notte verso le ventidue al Policlinico. Essa era figliola di un addetto all’autorimessa del Quirinale in via della Dataria. La sua mamma, Amelia Bellini, che aveva voluto accompagnarla e che è rimasta pure ferita, dichiarava che realmente la Anna Maria non aveva bisogno di ricorrere ad un impieguccio, ma quasi per capriccio s’era decisa a presentarsi al villino di via Savoia 31, non credendo che ci fossero tante concorrenti. Naturalmente sono in corso alcune inchieste per appurare le responsabilità del luttuoso avvenimento. Una si è svolta da parte del commissariato di Porta Pia per l’autorità giudiziaria. È stato interrogato oltre alla portiera il procuratore della proprietario del villino, signora Paola Palano vedova Sacca, attualmente in Brasile. Ma i risultati della, inchiesta che realmente avranno maggior valore sono quelli di natura tecnica espressi nelle conclusioni dei rapporti del comandante dei vigili del fuoco e dell’Ispettorato Edilizio del Comune. Si tratta, in fin dei conti, di una cosa semplicissima: difetto di costruzione. La scala non era stata costruita a regola d’arte, ecco tutto».

L’Unità del 19 gennaio annunciava: « Hanno avuto luogo ieri alle 14 e trenta, partendo dall’Obitorio, i funerali della giovane dattilografa Anna Maria Baraldi, una delle duecento ragazze che precipitarono dalla tromba delle scale della palazzina di via Savoia, mentre cercavano lavoro. Alla mesta cerimonia erano presenti l’assessore Angelilli, un rappresentante del sindaco Rebecchini, altre autorità cittadine e alcune centinaia di persone tra cui una quarantina di ragazze che rimasero incolumi nel tragico crollo. L’altro ieri la signora Einaudi aveva fatto deporre sulla bara della giovane Anna Maria una corona di fiori e il Presidente della Repubblica aveva fatto pervenire al padre della dattilografa cavalier Giovanni Baraldi, che fu per vent’anni autista del Quirinale, l’espressione del suo cordoglio. Gran parte delle altre ragazze rimaste ferite nel crollo, intanto, è stata dimessa dagli ospedali e nessuna di esse conserverà dolorose tracce per le ferite riportate. Dal canto loro i vigili del fuoco hanno continuato in questi giorni l’inchiesta sulle cause del sinistro ».

Alcuni giornali informavano che il Comitato per la difesa della gioventù, al quale aderivano le commissioni giovanili dell’Unione donne italiane, della Camera del lavoro dei Partiti socialista, socialdemocratico, liberale e comunista, si sarebbe recato al Ministero del lavoro per richiedere che alle ragazze vittime dell’incidente fosse trovato un impiego. Dopo questi due ultimi annunci il caso di via Savoia sì chiuse.

Quelle giornate dal 16 al 19 gennaio 1951, a dire il vero, non furono giornate normali. Proprio il 17, infatti, arrivò a Roma Eisenhower, allora soltanto generale, per cementare l’adesione italiana al Patto atlantico. La città fu messa in subbuglio. Tutti i muri erano sovraccarichi di manifesti, come nei periodi più accesi delle campagne elettorali. Le destre inneggiavano ad Ike e le sinistre incitavano allo sciopero contro la guerra. Sul selciato e sui muri era scritto con violenza, in vernice indelebile: Vattene Ike, Ike la guerra la fai te.

Dalla sera del 15 gennaio, cioè dal giorno del crollo di via Savoia, le strade di Roma furono pattugliate dalla Celere in pieno assetto di guerra. Il 18 la CGIL proclamò lo sciopero generale. Come sempre accade a Roma in tali casi, solo qualche raro tram fece saltuariamente servizio e queste solitàrie vetture, vuote di passeggeri e zeppe di poliziotti, contribuivano a dare ai romani l’impressione di trovarsi in una città in stato d’assedio. Per le strade del centro sfrecciavano colonne di jeeps della polizia che si incrociavano con diecine di camion pieni di arrestati, riconoscibili dalla scia di canti rivoluzionari e pacifisti che si lasciavano dietro.

Oltre tutto le strade erano spazzate da un freddo micidiale, uno dei freddi più intensi che i romani, abituati al clima mite della loro città, potessero ricordare.

Elio Petri (Roma ore 11, Collana Omnibus – Edizioni Avanti! 1956)

Il cinema indipendente secondo Elio Petri


Dal canale YouTube di giuliodavid1

La curiosa contraddizione del cinema italiano – e non solo da adesso – è quella di avere al tempo stesso aspirazione ad una leadership di tipo hollywoodiano ed un’ansia di rinnovamento quasi newyorkese. (Quanti registi di ieri – ed ho molti nomi sulla punta della lingua – pur partendo da ambiziose premesse artistiche sono approdati a risultati – anche privati – hollywoodiani?). E’ questa contraddizione, tuttavia, a permettere una certa possibilità di agire liberamente anche nel quadro delle produzioni ufficiali; devo dire, tanto per fare un esempio, e posto che I giorni contati possa essere considerato un prodotto qualificato, che io non sono stato costretto a fischiettare il mio motivo davanti al produttore e che ho potuto fare tutto quello che mi veniva in mente: certo che non posso controllare i limiti della mia “libertà di volere”, certo è che vorrei fare film per cui, forse, non mi resterebbe che fischiettare due anni di seguito senza farmi capire; e nemmeno ti so dire quanto influirà l’esito commerciale di film come il mio sulla durata di questa atmosfera di libertà condizionata.

(…)

La liberazione dagli schemi deve avvenire con una ricerca cosciente al massimo grado, e non in una specie di furore iconoclasta. Cinema libero, dunque: come espressione cosciente e non automatica – di costume – del proprio tempo; le condizioni esistono anche nell’àmbito del cinema ufficiale, ma bisogna lottare continuamente per mantenerle vive e, in un certo senso, sapersi sacrificare.

Elio Petri
(La Fiera del Cinema, febbraio 1962)